COVID e cervello: quali danni provoca il Virus
NATURE – 7 luglio 2021
COVID e cervello: quali danni provoca il Virus
Su Nature l’analisi di diversi studi che suggeriscono come il coronavirus causi “nebbia cerebrale” e altri pericolosi sintomi neurologici di lunga durata.
Su Nature l’analisi di diversi studi che suggeriscono come il coronavirus causi “nebbia cerebrale” e altri pericolosi sintomi neurologici di lunga durata.
Come il COVID-19 possa danneggiare il cervello sta diventando sempre più chiaro ed evidente. Ne parla Nature in un suo articolo del 7 luglio scorso, in cui espone nuove prove, frutto di studi accurati, che suggeriscono come il Coronavirus agisca sul cervello in tre modi:
- attaccando direttamente le cellule cerebrali;
- riducendo il flusso di sangue verso il tessuto cerebrale;
- innescando la produzione di molecole immunitarie che possono danneggiare le cellule cerebrali.
Tutto ciò può causare, ad esempio, perdita di memoria e ictus. Diversi sintomi neurologici sono infatti apparsi nell’80% delle persone ricoverate con COVID-19 che sono state poi monitorate per uno studio condotto da GCS-NeuroCOVID Consortium e ENERGY Consortium. Ora i ricercatori sperano che, studi sempre più aggiornati, possano indicare presto la strada per trattamenti in grado di evitare che “queste persone abbiano problemi a lungo termine”, come auspica Serena Spudich, neurologo della Yale University di New Haven, Connecticut.
L’irruzione nel cervello
Un pre-print (ovvero un articolo frutto di un lavoro di ricerca al momento sottoposto ancora a validazione da parte di un pool di esperti) pubblicato in giugno, ha confrontato le immagini del cervello delle persone colpite da Covid-19 prima e dopo la malattia, e ha trovato perdita di materia grigia in diverse aree della corteccia cerebrale.
Ma come fa il virus ad arrivare nel cervello? Difficilmente questo avviene attraverso i vasi sanguigni. Studi recenti hanno infatti indicato che il virus ha difficoltà a superare la barriera emato-encefalica e che non necessariamente attacca i neuroni in modo significativo. Un modo in cui la SARS-CoV-2 potrebbe accedere al cervello, dicono gli esperti, è passando attraverso la mucosa olfattiva, il rivestimento della cavità nasale, che confina con il cervello (infatti i tamponi si fanno nel naso).
Gli studi suggeriscono che la SARS-CoV-2 può infettare gli astrociti, cellule presenti in abbondanza nel cervello, dove svolgono diverse funzioni tra cui “supportare le sue attività tra cui la fornitura di nutrienti ai neuroni per farli funzionare” spiega Arnold Kriegstein, neurologo dell’Università della California, San Francisco, in un pre-print pubblicato a gennaio.
A sostegno di questi studi di laboratorio, un gruppo che comprende Daniel Martins-de-Souza, capo della proteomica all’Università di Campinas in Brasile, ha riferito in un pre-print di febbraio di aver analizzato campioni di cervello di 26 persone morte con COVID-19. Nei cinque le cui cellule cerebrali hanno mostrato prove di infezione da SARS-CoV-2, il 66% delle cellule colpite erano astrociti. Questo spiegherebbe alcuni dei sintomi neurologici associati al COVID-19, in particolare l’affaticamento, la depressione e la “nebbia del cervello”, che include confusione e dimenticanza, sostiene Kriegstein. “Questi tipi di sintomi potrebbero non riflettere un danno neuronale, ma sì alcune disfunzioni, in coerenza con la vulnerabilità degli astrociti”.
Blocco del flusso sanguigno
Sono sempre più le prove che indicano come la SARS-CoV-2 può ridurre il flusso di sangue al cervello e dunque compromettere la funzione dei neuroni fino a ucciderli.
Questo avviene mediante l’attacco di SARS-CoV-2 ai periciti, cellule che si trovano sui capillari in tutto il corpo. Un pre-print di febbraio ha riportato come il virus potrebbe infettare le cellule simili ai periciti presenti negli organoidi del cervello.
Ad aprile, David Attwell, un neuroscienziato dell’University College di Londra, con i suoi colleghi ha pubblicato un pre-print che dimostra come la SARS-CoV-2 possa influenzare il comportamento dei periciti. I ricercatori hanno osservato che, in alcune sezioni del cervello dei criceti, la SARS-CoV-2 blocchi il funzionamento dei recettori sui periciti, causando la costrizione dei capillari. Attwell suggerisce che i farmaci usati per trattare la pressione alta, che comporta la restrizione dei vasi sanguigni, potrebbero essere utili in alcuni casi di COVID-19. E infatti due studi clinici stanno attualmente studiando l’effetto del farmaco losartan (per la pressione sanguigna) per trattare la malattia.
Il sistema immunitario
C’è anche una crescente evidenza che alcuni sintomi e danni neurologici siano il risultato di una reazione eccessiva o di un malfunzionamento del sistema immunitario una volta venuto a contatto con il coronavirus. È ormai assodato che il sistema immunitario di alcune persone produce inavvertitamente “autoanticorpi” che attaccano il proprio tessuto, dice Harald Prüss, un neuroimmunologo presso il Centro tedesco per le malattie neurodegenerative di Berlino. Questo può causare problemi di lungo termine come la neuromielite ottica, che può portare alla perdita della vista e alla debolezza cronica degli arti. In una revisione pubblicata in maggio, Prüss ha riunito tutte le prove che questi autoanticorpi possono passare attraverso la barriera emato-encefalica e contribuire a generare disturbi neurologici che vanno dal deterioramento della memoria alla psicosi.
Questo reazione anomala del sistema immunitario potrebbe avvenire anche in presenza di COVID-19. In uno studio pubblicato l’anno scorso su Cell, si descriveva il lavoro svolto da Prüss e dai suoi colleghi che hanno isolato gli anticorpi contro la SARS-CoV-2 formatisi nelle persone, e ne hanno trovato uno che era in grado di proteggere i criceti dall’infezione e dai danni ai polmoni. Ma i ricercatori hanno anche scoperto che alcuni degli anticorpi potevano legarsi al tessuto cerebrale, con possibilità di danneggiarlo. “Stiamo cercando di dimostrarlo clinicamente e in via sperimentale”, dice Prüss.
In un secondo documento, pubblicato online lo scorso dicembre, Prüss e un altro team di esperti hanno presentato i risultati dello studio del sangue e del liquido cerebrospinale di 11 persone gravemente malate di COVID-19, che avevano tutti sintomi neurologici. Tutti hanno prodotto autoanticorpi in grado di attaccare i neuroni. Ma hanno provato anche che dare a questi pazienti immunoglobuline per via endovenosa è “abbastanza efficace”, spiega Prüss.
Ora la sfida è cercare delle cure per queste patologie causate dal Covid-19. Astrociti, periciti e autoanticorpi non si escludono a vicenda, e probabilmente non sono gli unici aspetti problematici che legano il virus al cervello. Lo studio di un maggior numero di casi consentirà di capire quali trattamenti scegliere per cercare di limitare i danni cerebrali.